A la comunidad argentina en “la diáspora”.

A todos aquellos que partieron un día, huyendo de las crisis o en pos de un sueño. A quienes añoran algún rincón de nuestro suelo. A quienes dejaron atrás familiares y amigos. Les entrego este puñado de cuentos con la esperanza de que les sirvan como maná para el espíritu, de que se sientan identificados con algunos de los relatos y de que compartan conmigo sus comentarios y sus propias anécdotas para convertirlas en nuevas historias.

viernes, 25 de mayo de 2007

Historia de guapos

“Historia de guapos” es uno de los cuentos de mi primer libro. Fue traducido al italiano por mis primos Ida y Franco Scali, calabreses que viven en Torino. Grazie, Famiglia!

STORIA DI GUAPPI

Alla fine degli anni Sessanta, ancora si usava ascoltare la radioteatro, sebbene la televisione si fosse affermata come solida competitrice. Durante gli anni, la radio aveva occupato il centro delle case argentine, unendo famiglie, intrattenendo giovani ed adulti, offrendo loro un campo fertile per l’immaginazione. “La revista dislocada”, “Rampullet”, “Juan Moreira”, tanto per citare qualche programma.
Quest’ultima opera scritta da Eduardo Gutierrez nel 1886 e rappresentata nel circo dai fratelli Podestà nello stesso secolo, suscitò un interesse ininterrotto in diverse forme di rappresentazione artistica. Ai nostri tempi furoreggiava nella radio: la forza e la popolare semplicità del libretto permettevano la totale comunicazione con il pubblico.
A questo proposito occorre menzionare un curioso fenomeno che alcuni sociologi presero in considerazione: succedeva che migliaia d’ascoltatori di quelle radionovelle confondevano la finzione con la realtà. Di fatto non erano consapevoli della prima e, pertanto, consideravano i contenuti radiofonici con i loro personaggi ed avvenimenti, tanto reali come le loro proprie vite.
Per questo se venivano trasmesse vicende di persone in carne ed ossa che, chissà, abitavano un luogo non definito, non si ponevano alcun dubbio sulla loro esistenza.

PAISANO: “Guarda amico che la squadra di poliziotti viene questa volta comandata, secondo quanto mi dicono, da un tale don Goyo un sergente di prima linea molto duro, dicono che sia un uomo cattivo, capace di portarti via legato mani e piedi e che ha anche l’autorità di fucilarti”.
MOREIRA:”Non farci caso amico, non c’è squadra capace di catturarmi perché la sorte combatte al mio fianco. Oste, servi una coppa a questo birbante che sta tremando di paura!”.

“Figli di puttana! Vogliono ammazzare Moreira. Ma Moreira non si tocca! Che se lo agguanto io gli foro la pancia... e gli strappo la trippa!” E Don Domingo spense la radio che teneva nella stanza vicino alla panca e continuò ad infierire nel suo dialetto contro i persecutori del leggendario bandito, mentre arrotolava una sigaretta e immaginava come avrebbe fatto fuori i poliziotti che minacciavano l’eroe della campagna.

Il tema era ricorrente: la persecuzione degli “erranti e mal graditi” gauchos da parte della giustizia; la conseguente ribellione e la caduta di molti nell’emarginazione. Il personaggio di Juan Moreira si lamentava perché “dalla giustizia aveva ricevuto tutto il male di questo mondo e da essa si vede inseguito come una belva ovunque vada”. E vale la pena soffermarsi su un altro fenomeno: i reali eccessi da parte della giustizia in quell’epoca provocarono uno spostamento dei valori morali come l’onore ed il coraggio – normalmente associati con i rappresentanti della legge – che il lettore, lo spettatore e, nel nostro caso, l’ascoltatore non riscontrava nei sindaci, nei giudici di pace, nella squadra di polizia ma, al contrario, nei ribelli che contrastavano il sistema. Da qui l’immediato allineamento dei malmessi settori popolari contro i potenti. Parliamo di finzione, è chiaro, però per molti – e tra questi Don Domingo – si trattava della cruda realtà.

Tutti i giorni si sedeva Don Domingo in fondo al cortile con la radio vicino alla panca per ascoltare la seducente trama, ma non perdeva di vista la trappola acchiappa-passeri che gli garantiva un paio di stufati la settimana.
Era un uomo scontroso, affaticato dalla dura vita nella campagna che lo accolse quando venne in questa terra scappando dal fascismo. Quasi intrattabile, anche per la sua propria famiglia. Apparentemente insensibile a qualsiasi manifestazione di commozione. E tuttavia, accanto alla radio, si commuoveva - forse per aver aiutato nei suoi anni giovanili tanti suoi compaesani compagni di sventura e di miseria- s’immedesimava nelle persone sofferenti e giurava di difenderle “scannando chiunque volesse aggredirle”.
Pochi riuscivano a perforare la dura corazza di Don Domingo. Fra questi il nipote minore, che otteneva manifestazioni d’amorevolezza con sigarette e qualche commento libidinoso sulle “femmine del quartiere” come il nonno amava dire.
L’anziano non manifestava affetto verso nessuno; così sembrava. Era però, sempre pronto a commuoversi di fronte agli avvenimenti del radioteatro: passava da un angosciante sconcerto, ogni volta che un avvenimento minacciava Juan Moreira, ad una bellicosa euforia ogni volta che l’eroe concludeva la puntata da vittorioso.
Fin quando, un giorno il nipote venne a sapere che la trasmissione radiofonica di successo sarebbe stata rappresentata in versione teatrale al Coliseo di Lomas. Non esitò ad invitare Don Domingo a presenziare l’opera e a conoscere i personaggi che tanto appassionatamente aeguiva ogni giorno. Era inoltre evidente, l’intento del ragazzo di avvicinarsi al suo unico nonno, però non ebbe come risposta un caloroso gradimento- il giovane non lo sperava- ma un freddo: “Però ci saranno tutti?”
“Certo che ci saranno tutti!” rispose il nipote pensando che Don Domingo si riferisse a Moreira o, per meglio dire, solo a Moreira.
Passarono i giorni e s’accentuò il nervosismo dell’anziano che, come non mai, cercava il nipote per domandargli, una volta ed una volta ancora, l’ora ed il luogo dell’evento.

Finalmente quel giorno arrivò e Don Domingo tirò fuori del baule uno sgualcito abito marrone a righi al quale nemmeno il miglior tintore avrebbe potuto togliere né le pieghe né l’odore della naftalina. Aveva in capo un cappello intonato e scarpe ben lucidate. S’era anche ben pettinato e profumato il viso, rasato di recente, con acqua Velva. Era un’occasione speciale, e Don Domingo non voleva sfigurare.

Facendo la coda la sua ansietà andava crescendo. Era però comprensibile che una persona tanto rustica provasse questa sensazione di fronte ad una situazione inusuale. Il nipote tentò di calmarlo, insistendo affinché non si preoccupasse che ci sarebbero entrati tutti, poiché questa era la domanda ricorrente del nonno.
Una volta dentro si accomodarono nelle poltrone di fronte al palcoscenico ancora vuoto, che descriveva in maniera semplice ma realistica la campagna che Don Domingo aveva conosciuto molti anni prima. Il nonno era assorto e il nipote credette d’intuire che teneva gli occhi rossi per l’emozione.
Però, alla comparsa sulla scena di Juan Moreira, durante il primo atto, Don Domingo uscì dal suo raccoglimento e sciolse il freno alla devozione che sentiva: “Arriva Don Moreira, perbacco! Morte all’esercito di merda!” incominciò a vociferare provocando risate e proteste. Il nipote, rosso di vergogna, tentò invano di calmarlo, e man mano che apparivano i diversi personaggi Don Domingo manifestava urlando la sua simpatia o la disapprovazione.
Due impiegati di teatro s’avvicinarono e rispettosamente gli chiesero di calmarsi. Però, se l’anziano era scontroso per natura, quella notte di forti emozioni si sentiva più sospettoso che in campagna, un compagno d’avventure dello scontroso Moreira. “A me nessuno mi tocca, perbacco!” E la goccia che fece traboccare il vaso fu l’ingresso, sulla scena, dei poliziotti decisi ad arrestare l’eroe. Non ci fu modo di fermarlo: “Figli di puttana! Lo sapevo che vi avrei incontrato. A Moreira non lo tocca nessuno, perché lo ammazzo, figli di puttana!”. E sarebbe andato avanti così tutta la notte; ma quando s’avvicinò verso il palcoscenico, gli stessi impiegati l’afferrarono trascinandolo via senza permettere che i suoi piedi toccassero il suolo.
Al nipote toccò di calmarlo per tutto il viaggio di ritorno e quando giunsero a casa, più presto di quanto pensavano, la famiglia cenava serenamente. Chiesero loro come avevano trascorso la serata.
Il ragazzo, che aveva appena superato il dispiacere, riuscì a rispondere: “ed io che credevo che i guappi fossero cose d’altri tempi!”.

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